Skip to content
Mount Uluru Hero Background

È tempo di un’Europa geopoliticamente matura, anche nell’interesse dell’America.

Pubblicato su huffingtonpost.it

On March 11, 2024

Se riavvolgiamo il nastro della nostra storia recente fino ai mesi che hanno preceduto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio del 2022, almeno due fatti dovrebbero colpirci – come europei – perché sono degni di nota e pieni di conseguenze, anche per oggi.

Il primo è l’incredulità dell’Europa riguardo a ciò che stava per accadere. Nonostante gli scambi a tutti i livelli tra gli alleati abbiano raggiunto un’intensità senza precedenti e la ricchezza di informazioni sui piani militari della Russia dipingesse un quadro chiaro, le previsioni di un attacco si sono scontrate in Europa con un muro di scetticismo, se non di vero e proprio sospetto.

In secondo luogo, alla vigilia dell’offensiva russa, c’era una quasi totale assenza di dibattito sulla capacità militare dell’Ucraina di resistere a una potenziale invasione. L’opinione diffusa tra giornalisti e analisti era che le truppe di Mosca avrebbero marciato su Kiev nel giro di pochi giorni; l’impegno dell’Occidente si sarebbe quindi dovuto concentrare sulla reazione a questo fatto compiuto piuttosto che su come prevenirlo. L’idea di poter aiutare gli ucraini a reagire ha preso forma solo quando la guerra lampo immaginata dal presidente russo Vladimir Putin si è rivelata un fallimento. Riflettendoci oggi, questi due elementi del dibattito pubblico dell’epoca – particolarmente presenti nel nostro continente – non sembrano semplicemente degli errori analitici, ma piuttosto il risultato di un meccanismo psicologico più profondo di negazione.

L’Europa e le radici del meccanismo di negazione verso il potere duro

L’oggetto di questa negazione, di questo rifiuto, è la forza militare. È una caratteristica fondamentale dell’identità dell’Europa continentale: l’importanza del potere duro, e a volte persino la sua esistenza, è stata fondamentalmente rimossa dal discorso strategico del Vecchio Continente, salvo insistere sulla sua intrinseca malignità.

L’inaspettata unità trovata sul fronte delle sanzioni economiche contro Mosca, unita all’approvazione da parte di Bruxelles della Bussola Strategica nel marzo 2022 e all’annuncio della Germania di un investimento di 100 miliardi di euro nella difesa, hanno fatto pensare per un attimo che l’Europa intendesse compensare la sua debolezza militare. Tuttavia, la sindrome della negazione è presto riemersa. Il Vecchio Continente si è ritirato a “comandare da dietro”, come dimostra l’esitazione della Germania nell’inviare carri armati Leopard a Kiev, accettando di farlo solo a condizione che Washington fornisse prima i suoi carri armati M1 Abrams. A questo si aggiungeva una dinamica di “autodeterrenza”: sì all’assistenza militare per l’Ucraina, ma in modo così graduale da vanificare gran parte del suo impatto tattico. Infine, ci siamo lasciati sedurre – soprattutto nel nostro Paese – dal mantra populista di una presunta “alternativa diplomatica” alla difesa militare; questa retorica, lungi dal delineare una strategia negoziale anche solo vagamente realistica, è stata caratterizzata in Italia da tratti ideologici nel migliore dei casi e puramente tattico-demagogici nel peggiore.

Le radici del meccanismo psicologico di rifiuto dell’Europa nei confronti del potere duro sono state ampiamente studiate. In breve, le opinioni pubbliche del continente sono traumatizzate dalla violenza scatenata sul nostro territorio nel XX secolo, rovinate dalla prosperità che ne è seguita e dipendenti dall’ombrello di sicurezza fornito dagli Stati Uniti. In tempi più recenti, a questi fattori si sono aggiunti il pacifismo populista e un ambiente mediatico distorto, che ha prodotto un’opinione pubblica e una classe politica che fatica a elaborare in modo neutrale concetti come guerra, pace e deterrenza.

In questo contesto, mentre i nostri avversari strategici sono sempre più assertivi nel cercare una revisione dell’ordine mondiale, non si limitano a osservare il rifiuto dell’Europa nei confronti dell’hard power. Al contrario, lo alimentano attivamente attraverso la comunicazione, ben consapevoli che nelle democrazie liberali il dominio cognitivo è particolarmente efficace nel mantenerli in una “modalità non belligerante”.

Come gli Stati Uniti possono contribuire a promuovere un’Europa “geopoliticamente matura

Per uscire da questo buco, è una necessità esistenziale proteggersi dalle influenze straniere che, attraverso mezzi graduali come la disinformazione, alimentano il rifiuto dell’Europa di difendersi. Questa battaglia si combatte soprattutto sul piano cognitivo e dovrebbe puntare a un vero e proprio cambio di paradigma culturale, che ci porti a ripensare il ruolo dell’Europa come fornitore della propria sicurezza.

Durante questo processo lungo ed estremamente difficile, sarebbe nell’interesse degli Stati Uniti agire come “acceleratore” verso una difesa comune europea. Finora, la posizione dell’America nei confronti dell’Europa e dell’hard power è stata ambivalente: da un lato, desiderare un’Europa forte, capace di badare a se stessa e di contribuire alla sicurezza internazionale; dall’altro, volere un’Europa allineata che accetti e segua la leadership americana. Ma questi due desideri sono contraddittori, si indeboliscono a vicenda e, in ultima analisi, hanno impedito all’Europa di diventare geopoliticamente matura.

Secondo molti analisti, la rielezione di Donald Trump e le incertezze sul futuro della NATO potrebbero dare a un’Europa sola e spaventata il coraggio di correre verso una difesa comune. È più probabile il contrario. Grazie allo stesso rifiuto descritto in precedenza, se gli Stati Uniti dovessero abbandonare Kiev, sarebbe difficile immaginare che i governi del nostro continente possano convincere i loro cittadini a non fare lo stesso. La reazione più plausibile, alimentata anche dalla probabile sconfitta militare dell’Ucraina, sarebbe un ripiegamento sulla difesa a livello di Stati nazionali e la sostanziale fine delle ambizioni dell’Europa di diventare una vera entità politica.

Se Washington vuole un partner in grado di condividere il peso della sicurezza internazionale, deve fare una cosa difficile e controintuitiva: da un lato, agire come acceleratore verso una difesa comune europea; dall’altro, astenersi dal fissare le sue priorità e controllare le sue scelte tattiche. Gli Stati Uniti dovrebbero sostenere esplicitamente un’Europa della sicurezza e promuovere il superamento del rifiuto “psicopolitico” dell’hard power; nel frattempo, nelle relazioni bilaterali, dovrebbero fare pressione sui Paesi membri affinché accettino le cessioni di sovranità necessarie per una vera autonomia strategica.

Questo investimento ripagherebbe gli Stati Uniti. Se dotata di un potere di deterrenza credibile, l’Europa avrebbe un’attrattiva economica e culturale tale da indebolire la presa della Russia a est o la sua penetrazione in regioni critiche per entrambe le sponde dell’Atlantico, come l’Africa e il Mediterraneo. Dal punto di vista di Washington, questa politica sarebbe difendibile sia dal punto di vista “transazionale” che da quello dei valori, il che la renderebbe praticabile indipendentemente dall’esito delle elezioni di novembre. In ogni caso, deve arrivare un momento – almeno a livello di grande strategia – in cui i valori e gli interessi si ricongiungono (altrimenti per cosa stiamo combattendo?).

L’Europa e gli Stati Uniti devono risolvere il loro dilemma

Intrappolata nel suo rifiuto del potere duro, l’Europa rischia di affrontare il mondo multipolare come un insieme di paesi indifesi e inutili per i suoi alleati. Da parte sua, se l’America crede ancora in un’Europa autonoma ma alleata, deve aiutarla a crescere e lasciarla andare per la sua strada.

Partner with HighGround to navigate geopolitics with clarity and confidence