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In December 2024
Nel linguaggio della nota del Consiglio supremo di difesa dell’11 dicembre 2023, tre deviazioni dalla liturgia quirinalizia avevano suscitato un certo interesse: il riferimento alla dimensione cognitiva fra i domini dei moderni scenari strategici; il cenno alla necessità di “una più efficace architettura di sicurezza e di governance nazionale”; la chiosa sulla “trasversalità delle minacce ibride” che “rende indispensabile uno sforzo congiunto del sistema-Paese”. Dalla più cerimoniale delle istituzioni repubblicane proveniva, dunque, un appello urgente al cambiamento: gli strumenti a tutela della sicurezza del Paese non sono più adeguati alle sfide strategiche che la minacciano. Nell’anno trascorso, sussulti di consapevolezza hanno prodotto un movimento verso un approccio alla sicurezza più ampio e soprattutto più integrato: le discussioni sulle riforme di Intelligence e golden power, l’idea di un’agenzia per la sicurezza cognitiva, l’allargamento del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, l’annuncio di un piano per la sicurezza della ricerca e la proposta di legge di Lorenzo Guerini, presidente del Copasir, che prevede una Strategia nazionale triennale per una sicurezza “integrata e trasversale”. A fronte di queste spinte, per così dire istintive, è mancata una riflessione profonda e organica sulla minaccia. Riformare l’architettura di sicurezza nazionale è un’operazione difficile, costosa e inusuale. Affinché abbia successo, nulla è più importante della chiarezza sui cambiamenti dell’ambiente strategico che l’hanno resa necessaria, e proprio sull’assenza di questa chiarezza contano i nostri avversari. Il cambiamento è nella sfida proveniente da competitor che, forti di meccanismi decisionali verticistici e dall’assenza di accountability interna, possono avvalersi di tutte le propaggini della società (comprese aziende, media, diaspore all’estero) per perseguire obiettivi di proiezione, penetrazione e influenza. Ciò avviene tramite campagne ibride, composte da azioni lungo lo spettro Dimefil (diplomacy, information, military, economic, financial, Intelligence, law enforcement) e difficili da ricondurre al loro originatore. Le singole azioni sono solitamente negabili, coordinate, sotto la soglia del conflitto armato e fanno leva sulle fragilità tipiche delle società aperte e sui pesi e contrappesi dei sistemi democratici. A differenza del passato, la sfida proviene oggi da attori che possono competere con l’occidente dal punto di vista del peso militare ed economico e, soprattutto, avvalersi del dominio cyber come abilitatore e moltiplicatore di tutti gli altri. I tratti distintivi della minaccia sono dunque due: asimmetria, tramite azioni appositamente pensate per sfruttare l’estesa superficie di attacco delle democrazie occidentali e le immunità dei loro avversari; gradualità/dispersione, attraverso azioni articolate in modo da celare la campagna in cui sono incardinate. Ad esempio, un accordo accademico di ricerca su un materiale sensibile, un tentativo di acquisizione di un’azienda che lo produce aggirando le restrizioni del golden power e un attacco cyber a un’altra azienda per cercare di esfiltrarne il know-how difficilmente saranno messe a sistema dalle autorità governative per quello che potrebbero essere: un tentativo orchestrato di appropriarsi dell’expertise di un dato Paese in un settore strategico. La natura sistemica di questa sfida la rende sovraordinata alle altre e da essa dovrebbe muovere l’articolazione di una Strategia di sicurezza nazionale. Ciò impone di ripensare il concetto stesso per includere i domini non tradizionali e abbracciare l’intera superficie di attacco del Paese, con una continua mappatura del perimetro della minaccia. È dunque inevitabile una riflessione sulla necessità non solo di una Strategia, di cui l’Italia è l’unico Paese G7 a rimanere priva, ma anche di un punto di fusione costante e permanente delle diverse priorità in una direttrice di governo armonica, ovvero un Consiglio di sicurezza nazionale (Csn). Il Csn è un organo di raccordo in cui sono rappresentati gli stakeholder della sicurezza nazionale. Guardando alle esperienze degli altri Paesi del G7, tre caratteristiche ricorrenti possono essere replicate in un organo simile in Italia. Prima: non dovrebbe essere un organo di crisi, bensì permanente per garantire una calibrazione costante, quotidiana, della policy di governo. Seconda: oltre al formato a livello politico, è imprescindibile che esso sia primariamente un organo tecnico con personale a impiego permanente per garantire expertise e focus necessari (attraverso un segretariato permanente alla presidenza del Consiglio con personale assunto dall’esterno o distaccato dalle altre amministrazioni dello Stato). Terza: dipendente dal capo del governo, che ne indica il vertice, una figura esterna alle amministrazioni rappresentate al Consiglio di sicurezza nazionale, forte dell’autorità per stabilire priorità e garantire imparzialità fra le amministrazioni stesse. Infine, sia una Strategia di sicurezza nazionale che un organo deputato a implementarla, dovrebbero porre al centro il tema della ridefinizione del rapporto fra interessi pubblici e privati, il cui promemoria più recente è il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump. Si tratta di un equilibrio destinato a plasmare le decisioni di politica estera e di sicurezza del futuro, rimettendo in discussione il perimetro della libertà e dunque l’essenza stessa delle democrazie liberali come le conosciamo. Il ritorno della guerra in Europa, la continua pressione migratoria dalla nostra periferia meridionale e il focolaio mediorientale sono solo alcune delle tempeste che, portando minacce immediate e tangibili, distolgono lo sguardo dall’orizzonte strategico. Da qui l’urgenza di individuare un organismo deputato a vigilare sulla dimensione sistemica, contribuendo nel lungo periodo alla resilienza complessiva del Paese.
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